Questo novembre, Legambiente, Lav e Marevivo hanno diffuso il cosiddetto Dossier “Pesca INN”, ovvero un rapporto riguardo lo stato del sistema di pesca intensiva nel nostro paese: le norme vigenti atte a regolare quest’ambito, quanto esse siano rispettate e dove, le specie a rischio. Il dossier appare un traguardo fondamentale per lo sblocco di una dannosa condizione di immobilismo normativo, ormai tale da decenni. “Pesca INN” si legge pesca illegale non documentata e non regolamentata, ed alcune tecniche classificate come tali sono le reti spadare (al bando in tutta l’UE ormai dal 2002) nonché le ferrettare: esse non permettono di selezionare taglia o specie del pesce catturato, mettendo a rischio tartarughe,delfini, squali e balene. Come sottolineano le associazioni ambientaliste, tali specie sono presenti in tutti i nostri mari, compreso l’Adriatico, che però resta, almeno secondo i dati ufficiali, ai margini del fenomeno “pesca selvaggia”.
Le maglie nere della pesca illegale vanno infatti, secondo il dossier, a Ponza, Bagnara Calabra, Lipari, Porticello e Santa Maria La Scala. Non ci si può tuttavia permettere di circoscrivere il problema delle numerosissime violazioni commesse in Italia a determinate aree geografiche, poichè esso rischia di investire indirettamente anche i porti ed i pescatori più rispettosi delle norme UE, la quale ha già in precedenza sanzionato il nostro paese per l’insufficienza e la limitata funzionalità dell’apparato normativo italiano. Un ulteriore intervento della Corte Europea di Giustizia potrebbe penalizzare fortemente l’intero sistema di pesca, al quale verrebbero a mancare importanti sovvenzioni normalmente stanziate dalle istituzioni europee.
Un’aggravante della situazione consiste nell’esistenza di un decreto ministeriale del 1998 che, a seconda delle violazioni, prevede la sospensione della licenza di pesca da 3 a 6 mesi, decreto che non è ad ora mai stato applicato e di cui, anzi, le istituzioni nazionali competenti hanno addirittura sconsigliato l’applicazione. La denuncia delle tre associazioni ambientaliste sottolinea l’insufficienza delle altre sanzioni attualmente previste dalla legge per le violazioni precedentemente citate, le quali non superano in ogni caso i 4000 euro. Molto spesso è perfino possibile ridurre ulteriormente tali, già esigue, cifre con il patteggiamento, mentre “il sequestro effettivo delle reti illegali non viene quasi mai accertato dagli organi competenti - continua il dossier delle tre associazioni - ed è dunque lecito presumere che esso quasi mai avvenga realmente”.
Numerose sono le tematiche ed i settori che trovano il loro punto d’incontro e di comune interesse nell’attività di pesca intensiva nazionale: in primis naturalmente il tema dell’ambientalismo, che si assume il fondamentale seppur difficoltoso compito di arginare, con l’associazionismo e l’impegno civile, un disastro naturalistico annunciato ormai da decenni. In secondo luogo l’aspetto occupazionale, la cui fragile situazione spinge spesso i pescatori a grandi manifestazioni di protesta che i veneziani possono ben ricordare; non poche volte infatti Le Zattere di Venezia sono state letteralmente assediate da flotte di pescherecci in rivolta. Doveroso annoverare fra questi settori interessati anche quello politico-istituzionale, che da lungo tempo si barcamena tra problemi e presunte soluzioni della questione “pesca INN”. Esempio principe dell’inadempienza di questo settore e dei suoi attori è proprio la vicenda del decreto datato 1998 di cui si è parlato in precedenza, considerato dalle associazioni ecologiste nonché da tutte le autorità europee competenti, un grande passo avanti nell’arretrata realtà normativa italiana sulla pesca.
Fonte: http://www.terranews.it