 Mattia Orlando (Terra a Nordest)
Mattia Orlando (Terra a Nordest)        Questo novembre, Legambiente, Lav e Marevivo hanno diffuso il  cosiddetto Dossier “Pesca INN”, ovvero un rapporto riguardo lo stato del  sistema di pesca intensiva nel nostro paese: le norme vigenti atte a  regolare quest’ambito, quanto esse siano rispettate e dove, le specie a  rischio. Il dossier appare un traguardo fondamentale per lo sblocco di  una dannosa condizione di immobilismo normativo, ormai tale da decenni.  “Pesca INN” si legge pesca illegale non documentata e non regolamentata,  ed alcune tecniche classificate come tali sono le reti spadare (al  bando in tutta l’UE ormai dal 2002) nonché le ferrettare: esse non  permettono di selezionare taglia o specie del pesce catturato, mettendo a  rischio tartarughe,delfini, squali e balene. Come sottolineano le  associazioni ambientaliste, tali specie sono presenti in tutti i nostri  mari, compreso l’Adriatico, che però resta, almeno secondo i dati  ufficiali, ai margini del fenomeno “pesca selvaggia”.
Le maglie nere della pesca illegale vanno infatti, secondo il dossier, a  Ponza, Bagnara Calabra, Lipari, Porticello e Santa Maria La Scala. Non  ci si può tuttavia permettere di circoscrivere il problema delle  numerosissime violazioni commesse in Italia a determinate aree  geografiche, poichè esso rischia di investire indirettamente anche i  porti ed i pescatori più rispettosi delle norme UE, la quale ha già in  precedenza sanzionato il nostro paese per l’insufficienza e la limitata  funzionalità dell’apparato normativo italiano. Un ulteriore intervento  della Corte Europea di Giustizia potrebbe penalizzare fortemente  l’intero sistema di pesca, al quale verrebbero a mancare importanti  sovvenzioni normalmente stanziate dalle istituzioni europee.
Un’aggravante della situazione consiste nell’esistenza di un decreto  ministeriale del 1998 che, a seconda delle violazioni, prevede la  sospensione della licenza di pesca da 3 a 6 mesi, decreto che non è ad  ora mai stato applicato e di cui, anzi, le istituzioni nazionali  competenti hanno addirittura sconsigliato l’applicazione. La denuncia  delle tre associazioni ambientaliste sottolinea l’insufficienza delle  altre sanzioni attualmente previste dalla legge per le violazioni  precedentemente citate, le quali non superano in ogni caso i 4000 euro.  Molto spesso è perfino possibile ridurre ulteriormente tali, già esigue,  cifre con il patteggiamento, mentre “il sequestro effettivo delle reti  illegali non viene quasi mai accertato dagli organi competenti -  continua il dossier delle tre associazioni - ed è dunque lecito  presumere che esso quasi mai avvenga realmente”.
Numerose sono le tematiche ed i settori che trovano il loro punto  d’incontro e di comune interesse nell’attività di pesca intensiva  nazionale: in primis naturalmente il tema dell’ambientalismo, che si  assume il fondamentale seppur difficoltoso compito di arginare, con  l’associazionismo e l’impegno civile, un disastro naturalistico  annunciato ormai da decenni. In secondo luogo l’aspetto occupazionale,  la cui fragile situazione spinge spesso i pescatori a grandi  manifestazioni di protesta che i veneziani possono ben ricordare; non  poche volte infatti Le Zattere di Venezia sono state letteralmente  assediate da flotte di pescherecci in rivolta. Doveroso annoverare fra  questi settori interessati anche quello politico-istituzionale, che da  lungo tempo si barcamena tra problemi e presunte soluzioni della  questione “pesca INN”. Esempio principe dell’inadempienza di questo  settore e dei suoi attori è proprio la vicenda del decreto datato 1998  di cui si è parlato in precedenza, considerato dalle associazioni  ecologiste nonché da tutte le autorità europee competenti, un grande  passo avanti nell’arretrata realtà normativa italiana sulla pesca.
Fonte: http://www.terranews.it
